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Il Kamishibai (纸 芝 居 Kamishibai), traducibile come “dramma di carta”, (Kami = Carta; Shibai = Teatro/Dramma) è un antico metodo giapponese di raccontare storie riconducibile ai templi buddisti del Giappone del XII secolo, che ha avuto la sua massima espressione nel periodo del primo dopo guerra, quindi tra gli anni ’20 e gli anni ’50.

I monaci buddisti si servivano degli ‘emakimono’ (opere narrative riprodotte su rotoli) per raccontare alla popolazione storie sulla vita e le opere del Buddha, insegnando così i principi e la morale da seguire. L’uditorio era principalmente analfabeta e pertanto i disegni completavano e rafforzavano la narrazione orale.

Il Kamishibai appartiene quindi a una lunga tradizione di racconti di strada, in cui le parole si univano alle immagini. Per secoli questa tradizione è stata instancabilmente portata avanti dai cantastorie e gli stili e i modi di raccontare si sono evoluti nel tempo: ‘emakimono’, ‘etoki’, ‘tachi-e’…

Il Kamishibai e la figura del ‘gaito kamishibaiya’ (ovvero il narratore, o la narratrice, di Kamishibai) come li conosciamo oggi si affermano in Giappone nel periodo tra le due guerre mondiali. In quegli anni, il gaito kamishibaiya si spostava di villaggio in villaggio, o di quartiere in quartiere, a bordo della sua bicicletta, sulla quale era montato il ‘butai’, ossia il teatrino di legno, e annunciava il suo arrivo sbattendo uno contro l’altro due bastoncini di legno chiamati ‘hyoshigi’.

Il butai è una valigetta in legno nella quale vengono inserite delle tavole stampate sia davanti che dietro: da una parte il disegno e dall’altra il testo. Le storie erano tutte costituite da disegni originali, e rappresentavano perciò dei pezzi unici. Purtroppo oggi sopravvive solo una piccola parte di questo enorme patrimonio: alcuni esemplari sono conservati al Kyoto Museum.

Lo spettatore vede l’immagine mentre il narratore legge la storia. Il Kamishibai invita a raccontare e fare teatro, a scuola, in biblioteca, in ludoteca, a casa. Un teatro che sale in cattedra, usandola come luogo scenico per creare un forte coinvolgimento tra narratore e pubblico.

Oggi il Kamishibai è per i bambini un’occasione per stare insieme e un’importante attività di intrattenimento, sia all’aperto sia nelle case, nelle biblioteche e nelle scuole, del Giappone e non solo.

Questo tipo di narrazione, semplice ma efficace, è inoltre un ottimo strumento educativo per i bambini, i quali, oltre ad ascoltare le storie, possono mettere in pratica l’arte del Kamishibai inventandone di nuove o raccontando episodi della loro vita.

A scuola grazie al Kamishibai è possibile rielaborare ed esprimere personalmente quanto appreso in classe nelle più diverse materie, con disegni, collages e brevi testi.

Tutto questo stimola e favorisce la capacità di esposizione orale, di sintesi e di suddivisione in sequenze, e permette di esporre immagini e idee con la mediazione rassicurante del teatrino.

 

Come si usa?

Basta inserire le tavole illustrate nella fessura laterale del teatro di legno. Ogni immagine è numerata sul retro. Lo spettatore vede l’immagine mentre il narratore legge la storia, sfilando e infilando nuovamente le tavole nella fessura, da davanti a dietro.

Se volete trovate in internet alcuni tutorial per realizzarlo anche con materiali di recupero. Altrimenti trovate dei kamishibai già costruiti (a tal proposito mi sento di raccomandare quello delle edizioni Erickson).

E chissà che qualche bambino, cresciuto oppure no, non si voglia industriare anche nel recuperare una vecchia bicicletta e montare su di essa un portapacchi a cui agganciare il Kamishibai!